In prima linea tra i malati di coronavirus

di | 28 Marzo 2020

Ciao

volentieri condivido queste parole che mi manda Laura, nostra amica e che assieme a Jacopo si occupa dei ragazzi adolescenti.
Da pochi mesi laureata in scienze infermieristiche oggi è in prima linea tra i malati di corona virus.
la nostra preghiera ed il nostro grazie a lei ed a tutto il personale sanitario che si adopera per la nostra salute fisica…e non solo…
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Il 12 febbraio è stato il mio primo giorno di lavoro, assegnata al reparto pneumo-neuro. Ho conosciuto i miei colleghi, mi sono presentata loro con una stretta di mano. Il 12 marzo diventiamo pneumo-covid. Una terapia sub intensiva per pazienti positivi al coronavirus e bisognosi di ventilazione meccanica non invasiva. Per pazienti in isolamento aereo e da contatto. Per pazienti che il virus ha reso soli da un giorno con l’altro. Ricordo lucidamente la domanda con cui sono entrata in questa nuova dimensione: dove mi porterà tutto questo? Cosa farà di me come neo-professionista e come persona?

Dopo questi 14 giorni, che trascorrono lenti, così lenti quasi a voler lasciare che ogni cosa si sedimenti bene dentro di me, non ho ancora una risposta ma inizio a scoprire innanzitutto che, mai come adesso, il mio essere infermiera e il mio essere persona, il mio io, convivono in ogni istante di ogni turno.

Non che questo renda più semplici le cose, anzi le complica un bel po’! Perché mentre il professionista ha tutto il diritto di fermarsi a un freddo e asettico “è stato fatto tutto il possibile”, l’umano che siamo rimane ferito, impotente, stordito, bisognoso di un senso davanti alla vita e alla morte.

Tuttavia, ho potuto anche sperimentare che quando è la mia persona a prendere il sopravvento, allora anche il mio essere infermiera guadagna una marcia in più.  È il caso del paziente a cui abbiamo insegnato nuovamente a camminare dopo 21 giorni di allettamento e di ventilazione assistita. Con una pazienza e tenerezza materne e una soddisfazione incontenibile. Oppure di quel pomeriggio in cui dopo il terzo ricovero, e altrettanti ancora in arrivo, mi sono scoperta a essere curiosa delle persone che sarebbero arrivate. A smettere di pensarle come letti da riempire, ventilatori da accendere, terapie da preparare e somministrare. Ad attendere di conoscere la loro faccia, i loro occhi, la loro famiglia, la loro casa, la loro storia clinica e non. Una posizione del genere ha permesso che  -l’alleanza terapeutica -, un parolone accademico-universitario finora astratto per me, prendesse la consistenza salda e inattaccabile di un patto tra due umanità che misteriosamente si incontrano e che si trovano a giocare nella stessa squadra la stessa partita.

Dopo questi giorni, si apre un’altra domanda: riuscirà sempre questa umanità a traspirare da dietro camice mascherina e visiera? Reggerà alla fatica, al sudore e alla stanchezza? Chi è a darmela?

So di sicuro che è sostenuta continuamente dalla compagnia che questa situazione sta generando intorno a me. Una compagnia costante nelle mie giornate, data dalla mia famiglia, dagli amici e anche da semplici conoscenti ,che con un messaggio superano i muri della quarantena e mi arrivano accanto. E dai colleghi, che ho imparato a riconoscere spesso dalla voce o dagli occhi e nei quali so di avere degli alleati davvero forti.
Laura M.